Primavera 2020. Primo “lockdown”. Da tre anni lavoro nel mondo della scuola e della formazione teatrale e ogni mia attività, come quella di altri, viene sospesa. Mi viene fatto un grande dono: il tempo. Seppure ingabbiato e nervoso, nel vuoto lascio spazio alla mia creatività. Decido di scrivere una storia da portare in scena, magari con un tema potente. Penso possa essere una buona cosa.
Mi hanno insegnato che le storie ci incontrano, non siamo noi a trovarle. Così è successo anche a me. Nelle ricerche e navigazioni varie mi imbatto in quella di Abdon Pamich il marciatore italiano campione Olimpico a Tokyo nel 1964, esule dalla città di Fiume nel 1947. Affascinato dalla forza di questo personaggio nel suo “ricominciare” sempre, studio e approfondisco la storia degli Esuli Istriani, Fiumani, Giuliani e Dalmati.
In qualche mese scrivo il mio primo testo teatrale: si chiamerà Passi (inizialmente era il Il filo di Lana per la presenza di un filo di lana proprio sul traguardo di ogni gara, oggi sostituito dalla fascia più larga). È un monologo di narrazione rivolto al teatro ragazzi.
Ma la vita, come detto, è fatta di incontri; e sulla mia strada da qualche anno, continua a passeggiare per svariati motivi Gianmarco Busetto, scrittore, regista e attore, che legge il testo e decide di prendere la regia e portarlo in scena.
Ottobre 2020. Io e Gianmarco iniziamo a lavorare alla drammaturgia. Taglia, cuci, rivedi, riscrivi. Fino a quando a dicembre il testo è pronto, assieme a gran parte della struttura scenica. La foto che vedi ci ritrae durante la nostra ricerca, nella quale sono apparsi i famosi cubi che userò nella narrazione.
Non ci sono solo incontri però, ci sono anche tentativi e rischi. È Dicembre 2020, me ne prendo due. Iscrivo il testo Passi a due concorsi. Uno è Inedito Colline di Torino, in cui finisco in finale nel premio G. Arpino. L’altro è la XXXI edizione del Festival Segnali – Teatro Ragazzi – dove vinco il premio per la migliore drammaturgia.
E poi, proprio perché a condire tutto ci stanno le coincidenze, tra i giurati di quel concorso c’è Brigitte Korn-Wimmer Wimer dell’Agenzia Tedesca Theaterstueckverlag che decide di tradurre il mio testo ed inserirmi tra i suoi autori in Germania.
Ci sono davvero poche spiegazioni per eventi come questi, così come non ci sono ricette particolari o armi segrete che si possono imparare o addirittura insegnare.
Questa storia proviene dal basso, da una crisi. Da una difficoltà che spinge a trovare risorse, inventarsi, crederci. Certamente come ogni storia, gode di un pizzico di buona sorte, senza dubbio. Ma la sua essenzialità sta nell’ascolto. Nell’attenzione a cogliere ciò che ci circonda.
Come scriveva Calvino nelle Città Invisibili “il racconto lo fa l’orecchio non la voce”.
Emme