Questo non è un venerdì qualsiasi. Da domenica ad oggi sono accaduti degli eventi davvero significativi; per me e per le persone a cui voglio bene.
Ho incontrato e parlato con attori e organizzatori teatrali professionisti, li ho visti ragionare di teatro, quello fatto bene, di qualità, con passione e dedizione. Li ho visti attorno al tavolo abbracciarsi come fratelli perché figli della stessa corrente elettrica nelle vene: il teatro.
Li ho visti ballare a ritmo di una grancassa, un trombone e dei sax. Li ho visti ridere, erano bellissimi. Amici, uniti anche dalle stesse paure, le stesse incognite. Ed io mi sono trovato in mezzo a loro. Seduto a mangiare gomito a gomito con persone di una cultura pazzesca. Io che fino a qualche anno fa ero lontano chilometri da loro, in piena ricerca di me stesso. Nei loro occhi ieri ho visto la stessa ricerca. Che continua, ogni giorno, in quel mistero del “non so ancora chi sono da grande”.
E così ai miei occhi ieri sera, alla cena dell’Associazione RES che racchiude tutti gli artisti indipendenti del Veneto, mi è balzata agli occhi un’immagine. Quella che vedete. Una maschera, che domenica scorsa una delle mie allieve del Corso per Educatori alla Teatralità ha costruito con cartapesta e materiali di recupero. Il tema di ricerca del materiale era: “Il mio posto”.
E così tra la ricerca interiore e quella verso il mondo per raggiungere una centratura personale, questa settimana ho scoperto che il nostro posto può essere anche un periodo di tempo, una dimensione vissuta e passata.
Ho scoperto che siamo bottoni, bottoni diversi che sanno abbellire ciò su cui si posano e collegano due lembi di tessuto. Siamo connettori di umanità se ci ascoltiamo, se entriamo nelle relazioni, le cerchiamo.
Siamo bottoni che uniscono le conoscenze. E quando tutto è unito i colori dei due lembi sfumano, le tinte si mescolano e si abbandonano le contrapposizioni nette.
Siamo CAOS e siamo CASA. Lo siamo per noi e per gli altri, perché siamo i segni del passato, la strada fatta.
Ciò che possediamo nell’essenza è il ricordo, non gli oggetti. E quei bottoni allora sono una madre seduta alla macchina da cucire, in quel rumore ritmato dell’ago che sale e scende nel tessuto, amplificato dal vuoto di un corridoio anni ‘70.
Ed io stasera un po’ bottone mi sento, che cerco di mettere in connessione due lembi di tessuto, due parti dello stesso corpo: il mio. E anche quello del mondo del Teatro in cui sono appena entrato, in punta di piedi, dalla porta dell’Educazione, con enorme gratitudine: verso le persone che ho incontrato e le scelte che ho saputo fare.
Ieri ho accolto l’incarico di essere il nuovo Presidente di Farmacia Zooè, prendendo il posto di Gianmarco Busetto a cui sono grato per la fiducia totale che ripone in me. E come lui Carola Minincleri Colussi che, dice lei, si sente a casa, sicura. E a Marco Duse per il confronto quotidiano. E sono grato a Spazio Farma, questo luogo magico che mi ha regalato alla vita.
Tutto questo in una settimana, vissuta intensamente, a tratti senza prendere fiato. Secondi, attaccati ai secondi come milioni di bottoni che uniscono il tempo vero che siamo chiamati a vivere.
Emme